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Brandjacking: la nuova politica di Google sui marchi registrati

Google aggiorna la policy sui marchi registrati: si potrà fare brandjacking legalmente avviando campagne Ads con il trademark come parola chiave

Tutelarsi dal brandjacking – o brand hijacking – non è mai stato semplice, soprattutto online. Fino ad oggi, nelle regioni EU/EFTA, di cui l’Italia fa parte e dove la brand protection policy era già attiva, il massimo che una struttura alberghiera potesse fare per tutelarsi, era semplicemente registrare il marchio e presentare a Google un reclamo di violazione del trademark da parte di OTA e metamotori, nel caso in cui queste avessero disatteso la policy di Big G.

Di recente però, qualcosa è cambiato. Infatti, Google ha aggiornato la policy relativa all’uso del nome brand nelle campagne pubblicitarie nei paesi EU/EFTA, rendendo uniforme il regolamento a livello globale. A quanto pare, tra non molto, difendersi dal brandjacking sarà definitivamente impossibile.

La nuova policy Google sui marchi registrati

Molti utenti, tra cui Simone Puorto, nostro ospite in diverse occasioni sul gruppo Facebook Revenue Management, raccontano di aver ricevuto una email da trademark-policy-revision@google.com relativa agli aggiornamenti di Google sulle norme che riguardano l’utilizzo dei trademark all’interno di campagne pubblicitarie.

Questo il contenuto della comunicazione:

Advertising may use a trademark term in ad text if they are a reseller of, offer compatible components or parts for, or provide information about the goods and services related to the trademark term.

In cosa consiste la novità: OTA e metasearch potranno utilizzare all’interno dei loro annunci su Google Ads e l’intera rete pubblicitaria, un qualsiasi marchio registrato di proprietà di terzi. L’utilizzo del trademark è consentito, a patto che la pagina di atterraggio dell’annuncio rispetti alcune condizioni che vedremo nel dettaglio tra poco.

Questo significa che, d’ora in avanti, anche in Italia sarà possibile fare brandjacking legalmente e, nel caso specifico del settore alberghiero, ciò significa che le grandi catene alberghiere così come i piccoli hotel, si troveranno a competere direttamente con i grossisti per il nome del proprio hotel.

Come impostare i nuovi annunci Google

Ecco cosa prescrive Google a proposito di come dovranno essere gestiti ADS e Landing Page per poter utilizzare legalmente il trademark altrui:

  • Il trademark può essere utilizzato dai resellers (OTA e metasearch) a patto che la landing page sia dedicata principalmente alla vendita di un prodotto/servizio, delle sue componenti o pezzi di ricambio, o di prodotti/servizi compatibili con quelli rappresentati dal trademark. La landing page, inoltre, deve consentire di effettuare un acquisto in maniera semplice e intuitiva e deve fornire tutte le informazioni commerciali del caso, come prezzo e recensioni.
  • Anche blog e siti di settore (informational sites) possono usare il trademark all’interno delle pagine di atterraggio delle ads, l’importante è che tali landing page diano informazioni dettagliate sul prodotto/servizio corrispondente al trademark.
  • Il trademark come parola chiave può comparire nell’url della landing page ma non può comparire all’interno del nome dominio o sottodominio dell’advertiser.
  • Il nome brand è a tutti gli effetti una parola chiave pertanto chiunque può partecipare all’asta in base alla quale stabilire il prezzo della parola chiave per ciascun annuncio.
  • Tuttavia, il trademark come parola chiave, non può essere utilizzato all’interno di titolo e descrizione dell’ads, dalle terze parti.

campagne adwords ota

Un esempio di snippet originato da due annunci a pagamento, uno di Booking e uno di Expedia, in cui compare il nome brand (Hotel Miramare). Nel primo caso lo troviamo nell’url nel secondo invece, all’interno della descrizione dell’annuncio.

Il testo completo della policy Google sull’utilizzo dei trademarks, è disponibile qui.

Come incide sulle campagne Ads la nuova policy di Google sull’utilizzo dei trademark

Concretamente, cosa significa? Senza entrare troppo nel merito del SEM – Search Engine Marketing, e di come si struttura una campagna pubblicitaria su Google Ads, ciò che è importante sapere è che quando si imposta una campagna è necessario creare un set di annunci basati su una (meglio più) parole chiave potenzialmente utili al nostro business.

Posto quale sia l’obiettivo della nostra campagna (conversione? Lead? Contatto?) decidiamo qual è la parola chiave più adatta al nostro scopo.

I fattori da considerare sono diversi, primo tra tutti il Costo Per Click della parola chiave (CPC) e cioè quanto spenderemo per ogni click ricevuto sull’annuncio che contiene tale parola chiave? A deciderlo, naturalmente, è Google. L’algoritmo infatti, calcola il valore della parola chiave in funzione di diversi criteri tra i quali la frequenza di utilizzo di tale parola negli annunci pubblicati non solo da noi ma anche dai competitor.

Poiché, con le nuove norme di Google sui marchi registrati, chiunque potrà utilizzare il nome brand (leggasi: il nome hotel) per creare un annuncio, è chiaro che la parola chiave che corrisponde al nome brand diventerà sempre più competitiva e dunque più costosa. Il CPC aumenta e così, strutture alberghiere con poco budget per il Digital Marketing, abbandoneranno l’idea di investire qualche centinaia di euro in annunci pubblicitari, lasciando campo libero a OTA e metamotori.

È ancora possibile tutelarsi dal brand jacking?

A questa domanda potremmo rispondere con un altro quesito e cioè se e quanto ha senso proteggersi dal brandjackingCi sono dei casi, non legati al settore Hospitality ma comunque utili al ragionamento che stiamo facendo, che dimostrano i risvolti positivi del brand jackingAlcuni marchi del settore moda ad esempio, hanno guadagnato un posizionamento migliore nel mercato grazie all’utilizzo improprio del brand, del prodotto o del servizio, da parte di un target a cui non si rivolgevano affatto ma che, da quel momento in poi, è diventato il target di riferimento del brand (per ragioni economiche ovviamente, nel senso che il nuovo target convertiva più del primo).

È l’esempio di Dr. Martens, il brand noto in tutto il mondo per gli stivaletti con la suola in gomma, oggi simbolo di generazioni di teenagers. In realtà, gli anfibi Dr. Martens erano nati come stivali da giardinaggio destinati a un pubblico anziano ma poiché iniziarono ad essere utilizzati più dai giovani che dagli adulti, presto l’azienda cambiò rotta, volgendo lo sguardo verso un nuovo mercato a cui non aveva mai immaginato di potersi rivolgere. In questo modo è cambiata anche la brand identity del marchio, la sua mission, la sua comunicazione. Insomma, alcune azioni di brand jacking hanno portato le aziende a riflettere su se stesse e a guadagnare punti laddove non avrebbero mai immaginato di poter sviluppare un mercato.

Ci sono anche casi inversi in cui alcuni importanti brand hanno dovuto lottare strenuamente contro l’appropriazione indebita del trademark da parte di target assolutamente non in linea con la vision dell’azienda. Pensiamo, ad esempio, a marchi del settore Luxury come Gucci, per quanto riguarda la moda, o a Mercedes per l’Automotive. Questi brand sono stati e continuano ad essere molto amati dai componenti delle gang band americane, dai membri delle cosche criminali nazionali e non, o semplicemente da un’utenza non proprio in linea con la mission aziendale. Per impedire che si creasse e si crei un’associazione errata, i marchi in questione si impegnano in attività di comunicazione volte ad affermare la propria identità, in maniera più forte.

Nel caso dell’Hospitality funziona diversamente, rispetto ai beni di largo consumo, perché a competere sono spesso OTA e metamotori contro le strutture alberghiere. La nuova policy di Google quindi, non fa altro che aimentare un gioco di potere tra i due schieramenti in cui a vincere sarà chi avrà budget e risorse maggiori da investire in campagne ads e attività di marketing online. La policy sarà operativa in pochi mesi anche in italia, vedremo come si evolverà la situazione.

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Edoardo Caldari

Data Scientist, esperto di Revenue Management, con una grande passione per la creazione di algoritmi di Forecasting per il Revenue Management. Laureato in economia e specializzato in Economia per il turismo alla Cà Foscari di Venezia con 110 con lode. CEO di HotelPro360 un'azienda innovativa per aiutare le piccole aziende turistiche ad ottenere il massimo delle performance.

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